Lapo Ferrarese
© Lapo Ferrarese - 2014

IL COMPLOTTO e altri racconti: recensione di Rubrus (22/07/2013)

Per qualche imperscrutabile ragione gli editori italiani (non mi risulta quelli stranieri) sono convinti che i racconti siano un formato “perdente” . La conseguenza è che in giro ci sono romanzi che sono in realtà racconti stiracchiati peggio che se fossero finiti sul letto di Procuste. Per fortuna qualcuno, ogni tanto, se ne infischia. Ci sono poi coloro che sono convinti che esistano “generi” di serie A e di serie B. Probabilmente costoro sono quel tipo di suoceri che nessuno si augura di avere. Ancora una volta, però, qualcuno ogni tanto se ne infischia. “Il complotto (ed altri racconti)” è un libro di racconti, alcuni dei quali molto diversi tra loro, che, appunto, per fortuna “se ne infischia”. Probabilmente qualche racconto vi piacerà di più di altri, qualcun altro di meno. I gusti sono gusti e non si discutono, l'importante è non ricoprirli di paludamenti camuffandoli da profondi giudizi critici. Credo però che, oggettivamente, a ciascuno di questi racconti si debba riconoscere un merito, quello di dire quello che deve dire e, una volta finito, di terminare. Al centro di ciascuno di essi, insomma, c'è almeno un concetto: può essere la satira per la frenesia natalizia, l'ossessione per le diete, la relatività dei punti di vista, l'imprevedibilità degli esseri umani, la nostalgia, la fondamentale incomprensibilità e complessità dell'universo, l'ossessività di certi rapporti umani, la supponenza di certe figure e di certi tipi, il cinismo dello star system... e così via. E questo è il primo merito dell'autore. Credo che il secondo merito di Ferrarese – o meglio, dei racconti di Ferrarese, è deleterio arzigogolare sull'autore partendo dall'opera: lo scrittore è lo scrittore, lo scritto è lo scritto, sono due cose diverse, sembra una banalità, ma non fa male ricordarlo – sia la modestia. L'autore formula un'osservazione, un concetto, ma non lo mette su un altare o dentro una campana di vetro, non lo usa per costruirci attorno prediche socio-moralistiche o come pretesto per imbastirci attorno esercizi di stile che piaceranno tanto agli accademici (ma non alla maggioranza dei lettori, sarà per questo che la narrativa italiana non va benissimo?) ma che in realtà sono puro narcisismo. No, usa il concetto e lo mette al servizio della storia. Già, la storia. A rischio di dire un'altra banalità – una più, una meno, ormai... – la narrativa si chiama così perché racconta una storia, altrimenti avremmo saggistica o poesia. Non è una questione di etichette – che non fanno troppo bene – ma di quello che si trova “dentro” al testo. Di come il testo “funziona”. Ognuno di questi racconti ha un meccanismo che lo fa funzionare, una trovata narrativa che, arrivati alla fine del testo, fa dire “bene, mi è piaciuto”. Può essere un finale a sorpresa, un rovesciamento di prospettiva, un epilogo inevitabile, l'apice di un climax... non importa. La storia è quella roba che ti fa arrivare in fondo al libro, maledizione, e qui c'è. “Che tipo di racconti sono?”. Ecco, dicevo che sono racconti diversi tra loro. Posso dirvi che la maggior parte di loro ha una struttura vagamente “ansiogena” e questo li fa assomigliare a racconti del brivido. Posso dirvi che spesso c'è una componente ironica e, caratteristica sempre lodevole, autoironica e questo li fa assomigliare a racconti umoristici, non di rado di quel tipo di umorismo che non è sarcasmo, ma black humor. Posso dirvi che sovente c'è un elemento fantastico e questo li fa assomigliare a racconti di fantascienza o dell'orrore. Non posso mica dirvi tutto, però. Se volete saperne di più, credo proprio che dovrete leggerli. di Rubrus (scrittore di noir, horror e mistery)
Rubrus (scrittore) Home Libri pubblicati Sinossi Il trailer di "Incubi" Recensioni Marchi editoriali Interviste Video preferiti Contatti